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domenica 30 settembre 2012

5 poesie in italiano



IONIO

Ancora un passo e inizia l’Universo. Accanto a me palombari
        che  salgono verso il cielo,
astronauti che  toccano il fondo degli  oceani.
Un mondo di apparizioni mi  circonda.
Ciò che dormiva in me  per lunghi anni
sbuffa d’improvviso la lava dei  miti addormentati e si  riversa
per le vie d’un Butrinto che prende il sole all’orlo degli spazi.

Cavalli  di fiumi precipitano per le cascate.
Vado incontro a Noè e ricevo la lista     con  tutte le specie della
           terra che imbarcò nella  sua Arca.
Il Diluvio arretra.
La terra che cercava è dentro  di me. I fari
con  una luce  di radium  mi fanno cenno simili ai  segnali di
una  pista  d’aeroporto a la notte.

Ancora un passo e inizia  l’Universo. Qui, accanto a me
le onde portano a riva statue. A non stare attento
precipita un  capitello di luce ed i suoni di Wagner,
dalla tensione dei  fili nello spazio, echeggiano profondo
nel vuoto.
Mi appoggio ad un muro  di nuvole per non cadere.
Ascolto e sento la voce di Thanos che echeggia di navi
ed avverte che il grande Pan è morto.
Il brivido del lago Pelod li’vicino
con  una  sinfonia  di pianti, si sente all’altra riva.
Chi sono?  Perché mi  abbandonarono così gli  dei  pagani
e mi lasciarono solo fra le  sirene che  prendono a riempire
le file  dei  cori  jonici di polifonia?

Un  mondo  di  apparizioni  mi  circonda.

Fremo di  lasciare  questo  corpo

Fremo di lasciare  questo corpo. Più non posso  abitare
in questa  stamberga  arsa da sogni  obliati accesi nelle notti
 solitarie,
dai fuochi  che lo  inghiottirono spesso
e quasi lo consumarono tutto.

Tante volte ho lasciato  languire questo corpo
in attesa notte e dì sulla soglia  dei  tempi e delle galassie
sotto i cinguettii assordanti delle stelle.

Non posso più  continuare a scavare
in  queste  città seppellite di ricordi
dove  il vento trascina i pannolini delle poesie morte,
sperando di trovare in mucchi di spazzatura
una  carezza persa, la  conchiglia  da cui  uscì Afrodite
e la  lampadina d’una  lucetta spente  dalle tempeste.

Ciò che  fu, fu in questa vita. Ora  sono un mendico
che  stende le mani ai proverbi. Forse
essi mi doneranno per breve tempo la password magica per
    aprire
il Sesamo delle bellezze
a cui mai non giunsi.

Se non oggi, domani lascerò questo corpo.
È inutile ormai
Restare fra queste ossa
Calcificate dagli anni, dall’attesa
E dai borbottii dei censori d’un tempo.

LOGARà

Le  nebbie dormono il  giorno in fondo allo  Ionio, accanto alle
 navi antiche affondate, a Gràmata.
A gruppi a gruppi, cieche, senza  rumore escono la notte per
 salire il Colle di Logarà
e meriggiano nei boschi  infiniti dei pini.  Hanno ancora un  
 aroma di  profondità, di  alghe e pascolano fra burroni, a caso.
Si affollano davanti alla tua  vettura
ed  i fanali  gialli
non penetrano nemmeno  un metro nella loro cecità.

Pinì alti e diritti come  grigi templi. Non  puoi fare  neanche 
un  passo  perché non si sa in quale epoca stai precipitando.

Non trovi  la porta  di alcuna  stella per  bussare.
Perdi la pazienza. “C’è alcuno qui?” –
Ti senti dire. Vedi  la luce d’un fanale avvicinarsi
ed il custode del villaggio turistico  alpino che viene a
                        prenderti.

E se sei  irritato ancora E vuoi un letto senza  nebbia
ti fa segno di tacere, per  non svegliare gli dei
e ti dice all’orecchio “Anche  loro dormono
in una  cabina  nebbiosa”.

Verso il mattino, le nebbie scendono di nuovo a Gràmata
e depongono le uova in  fondo allo Ionio
come perle nel mezzo dei prati dei coralli.

2012

Sei venuta tardi, mia  dIVINA

Sei venuta  tardi, mia Divina.
Dalla lunga attesa, chi sa quanto volte
ho modelato la tua statua.

Fin da bimbo  scarabocchiavo nella memoria
Scene primitive
Come scene di caccia
Nell’arte preistorica delle grotte.

Quando mi sono rinforzato i ginocchi
presi ad errare a piedi  nudi
come  un eremita nei golfi segreti del mare
e ti aspettavo venissi come un’Afrodite generata dalle onde.

Eri nascosta  dietro ogni creatura
che  gridava nella lontana  linea dell’orizzonte,
dietro ogni segnale che mi dava una  stella cadente,
dietro ogni  finestra che si apriva.

Ogni raffica di  vento
mi avvolgeva, simile al tuo abbraccio i invisibile
e la Stella  del Sud  vigilava su me  perché
non impazzissi di notte.

Allora mi fecero dipingere con un pennello
i muri  corrotti d’un’epoca. Temevo
di pronunciare il tuo nome. Scendevo a Butrinto
e, furtivo,
uscivo ad  aspettarti alla porta Skea
da cui i viaggiatori omerici entrarono un tempo.
Sedevo sugli scalini dell’antico teatro
come  per afferrare l’eco della tua voce
in mezzo ai gemiti delle tragedie.
Mi stendevo nelle celle sotterranee di Quaranta Santi
lontano  dagli altri, leccando le ferite inflittimi
dall’attesa di te.

Sei  venuta tardi, mia  Divina, ed ho  dovuto
                                                un’infinità di volte
modellare te come  in uno  studio di DNA
E placare un’infinità di volte l’ardore
che mi travolgeva.

Venisti  avvolta in  un’aureola di luce, quando
ero pronto a spegnere ogni speranza
e come una  severa amazzone  mi facesti risorgere
insieme alle tue  accompagnatrici perenni,
da un  lato  la poesia  e dall’altra l’amore.

PUF – PUF

Torno a casa, appendo nel  corridoio la  giacca appesantita
    dalla stanchezza del giorno
mentre dalla cucina si sente il puf-puf della pentola a pressione
simile a un  treno  che  prenda  con sè da anni la nostra vita.

La sera per me  adesso è un  divano dove  sonnecchio
circondato da questo ritornello come un viaggiatore       da  film
western.
Il televisore è acceso tre  passi  più in là
e non capisco che  film si  svolga ora
dentro  il mio cuore.

Puf-puf, puf-puf questo treno  col rombo suo di ferro inghiotte
l’angoscia  di un  tempo  pieno di rischi,
con personaggi  chiassosi
che  scendono e salgono tra le  stazioni
lasciandosi indietro i cupi sbuffi delle
                                                colonne di fumo.

Di  volta  in volta  il viaggio s’arresta.
Bande  mascherate mettono il tritol sulle rotaie,
assalgono il Commissariato in cui  appaiono       i poliziotti che
fuggono
gettando le  rivoltelle,
facendo volare in  aria  i cappelli
come  se all’improvviso un asteroide     sbattesse a terra e
assalisse con la feroce massa di  fiamme.
Sono  assaliti i reparti  militari
e le piazze
si  riempono di uno  strato  di  bossoli e vetri infranti.
Equipes di  televisioni famose vengono da lontano,
intervistano i “ribelli” e li  pagano  per colpire
a caso  il domicilio  degli dei  facendo
stand-up come uno  sfondo di pellirosse.

Tutto è in  mano  loro ora. Inutile dire
che  fallisce sin dall’inizio il tentativo
di riportare l’ordine ed i inviati dello stato
s’inceneriscono da vivi  in nome di un ‘assurdità.
Inutile  dilungarmi sulla nave  mercantile
che è presa in  ostaggio in mezzo  al golfo
e non è lasciata  libera fino  a che  non si  consegni la somma
  pattuita.

Ma  io  non verso  neppure una  lacrima
sui  milioni  rubati alle  banche!
Solo quando  vedo
la  biblioteca  di città  bruciare fino in  fondo
corro  in preda alla febbre, soffoco
e ululo per la  caduta di  questo tempio.
Tocco la cenere in  forma  di  fogli di migliaia
                                    e migliaia  di libri
è sento  fremere sotto le mie  dita
la  pallida  fiamma delle loro anime – Se  soffia solo un poco
di vento
quella  fiamma si  riaccende come  una  pena
per  risorgere dalla cenere.

Il puf-puf tace. Scendo  da quel  treno  di anni.
La  mano  di mia  moglie  spegne il  televisore mi scuote,
mi avvicina  un piatto e mi dice “Si raffredda”

“Chi?” dico io.



Tradotto : Klara Kodra

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