IONIO
Ancora un passo e inizia l’Universo. Accanto a me palombari
che salgono verso il cielo,
astronauti che toccano il fondo degli oceani.
Un mondo di apparizioni mi circonda.
Ciò che dormiva in me per lunghi anni
sbuffa d’improvviso la lava dei miti addormentati e si riversa
per le vie d’un Butrinto che prende il sole all’orlo degli spazi.
Cavalli di fiumi precipitano per le cascate.
Vado incontro a Noè e ricevo la lista con tutte le specie della
terra che imbarcò nella sua Arca.
Il Diluvio arretra.
La terra che cercava è dentro di me. I fari
con una luce di radium mi fanno cenno simili ai segnali di
una pista d’aeroporto a la notte.
Ancora un passo e inizia l’Universo. Qui, accanto a me
le onde portano a riva statue. A non stare attento
precipita un capitello di luce ed i suoni di Wagner,
dalla tensione dei fili nello spazio, echeggiano profondo
nel vuoto.
Mi appoggio ad un muro di nuvole per non cadere.
Ascolto e sento la voce di Thanos che echeggia di navi
ed avverte che il grande Pan è morto.
Il brivido del lago Pelod li’vicino
con una sinfonia di pianti, si sente all’altra riva.
Chi sono? Perché mi abbandonarono così gli dei pagani
e mi lasciarono solo fra le sirene che prendono a riempire
le file dei cori jonici di polifonia?
Un mondo di apparizioni mi circonda.
Ancora un passo e inizia l’Universo. Accanto a me palombari
che salgono verso il cielo,
astronauti che toccano il fondo degli oceani.
Un mondo di apparizioni mi circonda.
Ciò che dormiva in me per lunghi anni
sbuffa d’improvviso la lava dei miti addormentati e si riversa
per le vie d’un Butrinto che prende il sole all’orlo degli spazi.
Cavalli di fiumi precipitano per le cascate.
Vado incontro a Noè e ricevo la lista con tutte le specie della
terra che imbarcò nella sua Arca.
Il Diluvio arretra.
La terra che cercava è dentro di me. I fari
con una luce di radium mi fanno cenno simili ai segnali di
una pista d’aeroporto a la notte.
Ancora un passo e inizia l’Universo. Qui, accanto a me
le onde portano a riva statue. A non stare attento
precipita un capitello di luce ed i suoni di Wagner,
dalla tensione dei fili nello spazio, echeggiano profondo
nel vuoto.
Mi appoggio ad un muro di nuvole per non cadere.
Ascolto e sento la voce di Thanos che echeggia di navi
ed avverte che il grande Pan è morto.
Il brivido del lago Pelod li’vicino
con una sinfonia di pianti, si sente all’altra riva.
Chi sono? Perché mi abbandonarono così gli dei pagani
e mi lasciarono solo fra le sirene che prendono a riempire
le file dei cori jonici di polifonia?
Un mondo di apparizioni mi circonda.
Fremo di
lasciare questo corpo
Fremo di lasciare questo corpo. Più non posso abitare
in questa
stamberga arsa da sogni obliati accesi nelle notti
solitarie,
dai fuochi
che lo inghiottirono spesso
e quasi lo consumarono tutto.
Tante volte ho lasciato languire questo corpo
in attesa notte e dì sulla soglia dei
tempi e delle galassie
sotto
i cinguettii assordanti delle stelle.
Non posso più
continuare a scavare
in
queste città seppellite di
ricordi
dove il
vento trascina i pannolini delle poesie morte,
sperando di trovare in mucchi di spazzatura
una
carezza persa, la conchiglia da cui
uscì Afrodite
e la
lampadina d’una lucetta
spente dalle tempeste.
Ciò che
fu, fu in questa vita. Ora sono
un mendico
che
stende le mani ai proverbi. Forse
essi mi doneranno per breve tempo la password magica
per
aprire
il Sesamo delle bellezze
a cui mai non giunsi.
Se non oggi, domani lascerò questo corpo.
È inutile ormai
Restare fra queste ossa
Calcificate dagli anni, dall’attesa
E dai borbottii dei censori d’un tempo.
LOGARà
Le nebbie
dormono il giorno in fondo allo Ionio, accanto alle
navi antiche affondate, a Gràmata.
A gruppi a gruppi, cieche, senza rumore escono la notte per
salire il Colle di Logarà
e meriggiano nei boschi infiniti dei pini. Hanno ancora un
aroma di profondità, di alghe e pascolano fra burroni, a caso.
aroma di profondità, di alghe e pascolano fra burroni, a caso.
Si affollano davanti alla tua vettura
ed i
fanali gialli
non penetrano nemmeno un metro nella loro cecità.
Pinì alti e diritti come grigi templi. Non puoi fare
neanche
un
passo perché non si sa in quale
epoca stai precipitando.
Non trovi
la porta di alcuna stella per
bussare.
Perdi la pazienza. “C’è alcuno qui?” –
Ti senti dire. Vedi la luce d’un fanale avvicinarsi
ed il custode del villaggio turistico alpino che viene a
prenderti.
E se sei
irritato ancora E vuoi un letto senza
nebbia
ti fa segno di tacere, per non svegliare gli dei
e ti dice all’orecchio “Anche loro dormono
in
una cabina nebbiosa”.
Verso il mattino, le nebbie scendono di nuovo
a Gràmata
e depongono le uova in fondo allo Ionio
come perle nel mezzo dei prati dei coralli.
2012
Sei venuta tardi, mia dIVINA
Sei venuta
tardi, mia Divina.
Dalla lunga attesa, chi sa quanto volte
ho modelato la tua statua.
Fin da bimbo
scarabocchiavo nella memoria
Scene primitive
Come scene di caccia
Nell’arte preistorica delle grotte.
Quando mi sono rinforzato i ginocchi
presi ad errare a piedi nudi
come un
eremita nei golfi segreti del mare
e ti aspettavo venissi come un’Afrodite generata
dalle onde.
Eri nascosta
dietro ogni creatura
che
gridava nella lontana linea dell’orizzonte,
dietro ogni segnale che mi dava una stella cadente,
dietro ogni
finestra che si apriva.
Ogni raffica di vento
mi avvolgeva, simile al tuo abbraccio i invisibile
e la Stella
del Sud vigilava su me perché
non impazzissi di notte.
Allora mi fecero dipingere con un pennello
i muri
corrotti d’un’epoca. Temevo
di pronunciare il tuo nome. Scendevo a
Butrinto
e,
furtivo,
uscivo ad
aspettarti alla porta Skea
da cui i viaggiatori omerici entrarono un tempo.
Sedevo sugli scalini dell’antico teatro
come
per afferrare l’eco della tua voce
in mezzo ai gemiti delle tragedie.
Mi stendevo nelle celle sotterranee di Quaranta
Santi
lontano
dagli altri, leccando le ferite inflittimi
dall’attesa di te.
Sei venuta
tardi, mia Divina, ed ho dovuto
un’infinità
di volte
modellare te come in uno
studio di DNA
E placare un’infinità di volte l’ardore
che mi travolgeva.
Venisti
avvolta in un’aureola di luce,
quando
ero pronto a spegnere ogni speranza
e come una
severa amazzone mi facesti risorgere
insieme alle tue accompagnatrici perenni,
da un
lato la poesia e dall’altra l’amore.
PUF – PUF
Torno a casa, appendo nel corridoio la
giacca appesantita
dalla stanchezza del giorno
mentre dalla cucina si sente il puf-puf della pentola
a pressione
simile a un
treno che prenda
con sè da anni la nostra vita.
La sera per me
adesso è un divano dove sonnecchio
circondato da questo ritornello come un
viaggiatore da film
western.
Il televisore è acceso tre passi
più in là
e non capisco che film si
svolga ora
dentro
il mio cuore.
Puf-puf, puf-puf questo treno col rombo suo di ferro inghiotte
l’angoscia
di un tempo pieno di rischi,
con personaggi
chiassosi
che
scendono e salgono tra le
stazioni
lasciandosi indietro i cupi sbuffi delle
colonne
di fumo.
Di
volta in volta il viaggio s’arresta.
Bande
mascherate mettono il tritol sulle rotaie,
assalgono il Commissariato in cui appaiono i
poliziotti che
fuggono
gettando le
rivoltelle,
facendo volare in aria i
cappelli
come se
all’improvviso un asteroide sbattesse
a terra e
assalisse con la feroce massa di fiamme.
Sono
assaliti i reparti militari
e le piazze
si
riempono di uno strato di
bossoli e vetri infranti.
Equipes di
televisioni famose vengono da lontano,
intervistano i “ribelli” e li pagano
per colpire
a caso
il domicilio degli dei facendo
stand-up come uno sfondo di pellirosse.
Tutto è in
mano loro ora. Inutile dire
che
fallisce sin dall’inizio il tentativo
di riportare l’ordine ed i inviati dello stato
s’inceneriscono da vivi in nome di un ‘assurdità.
Inutile
dilungarmi sulla nave mercantile
che è presa in
ostaggio in mezzo al golfo
e non è lasciata libera fino
a che non si consegni la somma
pattuita.
Ma
io non verso neppure una
lacrima
sui
milioni rubati alle banche!
Solo quando
vedo
la
biblioteca di città bruciare fino in fondo
corro
in preda alla febbre, soffoco
e ululo per la
caduta di questo tempio.
Tocco la cenere in forma
di fogli di migliaia
e migliaia di libri
è sento
fremere sotto le mie dita
la
pallida fiamma delle loro anime –
Se soffia solo un poco
di vento
quella
fiamma si riaccende come una
pena
per
risorgere dalla cenere.
Il puf-puf tace. Scendo da quel
treno di anni.
La
mano di mia moglie
spegne il televisore mi scuote,
mi avvicina
un piatto e mi dice “Si raffredda”
“Chi?” dico io.
Tradotto : Klara Kodra
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